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Chi
cresce e chi no Il dinamismo della Cina e l’inerzia
dell’Europa di Saverio Collura La particolare
attenzione che la Cina riserva al sistema economico dell'Italia è un indice
non trascurabile del dinamismo (positivo) che caratterizza la politica estera
di questo grande paese continentale; che non ha però altrettanta simmetria,
almeno sino ad ora, nella sua politica interna, negli atteggiamenti verso il
Tibet (ritenuta una sua provincia), e forse nei rapporti con le realtà
geografiche limitrofe. Queste ultime, ed il Vietnam in modo particolare, sono
spinte (anch'esse), per riequilibrare il ruolo preponderante cinese, a
ritrovare punti di confronto e di dialogo positivo con l'Italia e con i paesi
industrializzati dell'Europa, e dell'Occidente in genere. Come si può
constatare, quindi, sono molti i segnali complessivamente positivi di
proficua collaborazione con le democrazie occidentali che scaturiscono da
questa situazione di realismo politico che promana dall'estremo oriente.
Ritornando alla Cina, dobbiamo constatare come nel corso del 2014 la sua
strategia nei confronti dell'Italia sia stata caratterizzata da una notevole
mole di investimenti diretti effettuati dalle "agenzie statali"
cinesi in settori industriali e produttivi di particolare significatività;
imprimendo di conseguenza un positivo impulso alla nostra situazione
finanziaria, avendo contribuito a colmare il disequilibrio connesso alla
bilancia commerciale. L'interscambio commerciale tra l'Italia e Cina è stato
nel 2013 pari ad oltre 32 miliardi di euro (più di due punti di Pil), con un
incremento del 3% rispetto al corrispondente valore del 2012. Il boom degli
investimenti diretti cinesi in Italia produce effetti non trascurabili, in
quanto tale fenomeno non si è concentrato in un numero ridotto di realtà
produttive nazionali, bensì ha interessato un contesto molto ampio di imprese
italiane quotate in borsa; contribuendo così al non trascurabile effetto dell’aumento
di valore delle stesse. Ma non è tutto, perché è evidente e conseguente che
un tale massiccio intervento cinese non può essere esclusivamente finalizzato
ad operazioni di sola attività speculativa finanziaria, ma avrà nei prossimi
anni effetti di sviluppo commerciale, e quindi di comune crescita economica.
Che questi potranno essere gli effetti più consistenti, trova conferma nella
strategia complessiva cinese verso il sistema bancario italiano. La presenza
cinese in questo comparto del nostro paese si concretizza nell'ormai
consolidata attività della Bank of China (presente sin dal 1999), e nel più
recente (2011) insediamento della Industrial & Commercial Bank. Ma è
anche già definita la decisione del Governo cinese di avviare in Italia l’attività
di filiali di due colossi bancari quali la China Costruction Bank, e la
Agricultural Bank ; ché avranno certamente finalità di sostegno alle imprese
cinesi che operano già ora, ed in modo più consistente in futuro, in Italia.
Ma tutto ciò evidenzia anche una valutazione positiva nelle prospettive di
impegno di consistenti risorse finanziarie nel nostro paese. Questo forte
dinamismo della Cina nei nostri confronti non va vissuto con timore, come
sembrava voler prospettare l'allora ministro Tremonti, quando stigmatizzava
(o criminalizzava?) la forte attività commerciale cinese nelle nazioni
occidentali; non valutando adeguatamente il fenomeno , e non attribuendo la
giusta importanza alla prospettiva positiva che ineluttabilmente ne sarebbe
discesa da una intensa attività di partnership commerciale dell'Italia con la
Cina. Ma gli obiettivi cinesi sembrano essere ancora più consistenti, se si
arriverà, come tutto sembra indicare, all'acquisizione di una banca italiana
di medie dimensioni; rendendo così più ampia e più strutturata la presenza
finanziaria cinese nel nostro territorio, dal momento che si avrebbe anche
una presenza nel segmento più propriamente retail (rapporti con le famiglie e
con privati cittadini);peraltro già sperimentato in altri importanti paesi
europei. Questa incisiva e complessiva operatività cinese in Europa indica la
necessità, per una più equilibrata e più efficace interrelazione , di una
cornice regolamentare più squisitamente comunitaria, che superi l'attuale
realtà di rapporti diretti della Cina con i singoli paesi dell'unione europea
in genere, e dell'area euro in particolare; perché solo così si avrebbe una
maggiore garanzia, ed una maggiore tutela delle esigenze e delle prerogative
dei paesi che attualmente interagiscono con le strutture governative cinesi.
Il governo italiano dovrebbe, per tutelare adeguatamente le prospettive
nazionali, farsi interprete e sollecitare un'iniziativa di Bruxelles che
porti all'elaborazione, in analogia con quanto oggi in “itinere” per la
definizione del trattato trans–oceanico tra USA ed U E, di un accordo che
fissi e tuteli le reciproche esigenze commerciali e di rispetto delle
proprietà intellettive (brevetti, know-how ecc.) tra la Cina ed i paesi
europei. Il conseguimento di questo obiettivo avrebbe effetti moltiplicatori
in termini di incidenza sul Pil, rispetto a situazioni di non coordinamento
comunitario dell'interscambio commerciale. Si realizzerebbe, quindi, oltre ad
una positiva prospettiva commerciale, anche (dato questo certamente non
trascurabile) una significativa garanzia di ordine geo-politico, in un
momento di particolare complessità nei rapporti politici mondiali. A fronte
del forte dinamismo di politica economica della Cina, dobbiamo purtroppo
riscontrare un ritardo ed una difficoltà della Russia, tutta impegnata in una
complessa e pericolosa azione di politica di revanscismo per recuperare
improbabili situazioni di precedenti equilibri geo-politici, superati dalla
crisi mortale dell'Urss. In questo contesto la Russia potrebbe sempre più convincersi
dell'importanza dell'utilizzo della manovra sui prodotti energetici,oltre che
su alcune materie prime, che rappresentano la fonte principale delle
esportazioni verso i paesi dell'Europa e dell'Occidente; senza aver chiaro
invece che le prospettive nelle relazioni tra paesi diversi si basano
soprattutto sugli interscambi di prodotti, di tecnologie, di risorse
finanziarie;elementi questi molto più incisivi rispetto alla mera
speculazione sulle materie prime energetiche. Queste difficoltà potrebbero
accentuare una situazione di forte penalizzazione, come peraltro avviene in
questo momento, nel sistema economico della Russia, ed, anche se in misura
minore, nei paesi europei; aprendo la strada ad ulteriori e dannose tensioni
politiche. Una forte iniziativa comunitaria dell'Unione Europea potrebbe
significativamente contribuire a rendere meno acuta la situazione nello
scacchiere geografico dell'ex Unione Sovietica, consentendo alla Russia di
poter concretamente immaginare una situazione di tranquillità ai confini del
suo territorio. Ma questo è un problema molto complesso, che richiede un
nuovo modello di politica estera dell'Unione Europea, al momento purtroppo di
non facile attuazione; ma al quale bisogna con forte convizione puntare. Roma, 21 gennaio 2015 |
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